Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge è finalizzata a risolvere alcuni inconvenienti che si sono manifestati negli ultimi decenni nel funzionamento della Corte costituzionale.
      Tre sono le problematiche cui si vuole porre rimedio attraverso l'intervento legislativo.
      Occorre innanzitutto superare la prassi che si è ormai instaurata circa le modalità di elezione del Presidente della Corte per periodi eccessivamente brevi. Appare opportuno, in secondo luogo, eliminare qualsiasi rischio di almeno potenziale influenza esterna nei confronti dell'attività dei componenti della Corte, attraverso l'introduzione di cause di incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità dei giudici successivamente alla cessazione dalla carica. Sembra, infine, necessario introdurre l'istituto dell'opinione dissenziente, comune a molti sistemi costituzionali tra i quali quello statunitense, quello tedesco e quello spagnolo, al fine di rendere maggiormente «leggibile» il percorso argomentativo alla base delle decisioni della Corte.

      Sul primo profilo, va innanzitutto rilevato che, nella prassi, si è riscontrata una durata eccessivamente breve del mandato dei Presidenti della Corte, dovuta in gran parte all'affermarsi dell'anzianità come illimitato criterio di turnazione. Se questo, da un lato, ha contributo a valorizzare

 

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l'esperienza dei giudici (e, tra l'altro, ha mitigato gli effetti deleteri delle ricorrenti «campagne elettorali»), dall'altro lato, ha però portato, nei fatti, ad un'eccessiva brevità del mandato stesso.
      Occorre dunque ripensare l'illimitato ricorso al criterio dell'anzianità come parametro di elezione del Presidente. Se, infatti, appare apprezzabile la funzione svolta da tale criterio nell'evitare protagonismi interni al collegio, l'eccessiva brevità del mandato non può che arrecare pregiudizio al necessario ruolo-guida esercitato dal Presidente, indirettamente riconosciuto dall'articolo 135, quinto comma, della Costituzione, ove si prevede come normale la durata triennale e, anzi, è affermata espressamente la possibilità di rielezione.
      Al fine di agevolare una maggiore durata dei mandati svolti dai Presidenti della Corte, oggi preclusa in via di fatto, si prevede all'articolo 1 della presente proposta di legge che possano essere eletti alla carica di Presidente i giudici il termine del cui mandato non sia inferiore a due anni.
      Si dà inoltre un'interpretazione autentica della natura non retributiva dell'indennità di rappresentanza spettante al Presidente della Corte, prevista dal primo comma dell'articolo 12 della legge n. 87 del 1953; con ciò si conferma un'interpretazione finora ritenuta pacifica, ma che in parte sembra essere stata contraddetta da alcune università.
      Sul secondo profilo, riguardante l'introduzione di cause di incandidabilità, di ineleggibilità e di incompatibilità dei giudici costituzionali dopo la cessazione dalla carica, si ritiene opportuno un intervento a garanzia dell'indipendenza dei giudici stessi, integrando l'attuale disciplina che prevede cause ostative al conferimento di incarichi unicamente con riguardo al periodo di durata della carica.
      Solo la previsione di cause ostative anche in un congruo periodo successivo al termine del mandato può contribuire a fugare sgradevoli impressioni o sospetti che il comportamento dei giudici, nello svolgimento delle loro funzioni, possa essere influenzato dalla speranza di fruire di «premi» o dal timore di essere «emarginati» dalla politica dopo la scadenza del mandato.
      La necessità di sottrarre l'azione dei giudici costituzionali a pressioni esterne e a condizionamenti di vario genere costituisce la ratio della disciplina proposta. Un periodo di cinque anni appare adeguato al fine di svincolare le sorti personali e professionali del giudice da quelle della contingente maggioranza politica.
      Per quanto concerne, invece, l'introduzione dell'istituto dell'opinione dissenziente, va rilevato come ormai molti ordinamenti costituzionali contemporanei lo prevedano.
      Introdurre la possibilità che i singoli giudici, in casi da loro ritenuti di particolare rilevanza, alleghino alle sentenze o alle ordinanze il proprio (anche parziale) dissenso in merito alle decisioni o alle motivazioni delle stesse appare conforme alla stessa natura «deliberativa» delle decisioni della Corte.
      La Corte, come è noto, giunge alle proprie decisioni non attraverso voti immotivati dati dai propri componenti, ma attraverso un processo decisionale interno nel quale ogni singola argomentazione viene non conteggiata ma ponderata secondo il principio del «ponderandum non numerandum».
      Ebbene, l'introduzione dell'istituto dell'opinione dissenziente risponderebbe all'idea di una Costituzione pluralista, consentendo al giudice dissenziente di porre in luce una delle tante «anime» della Costituzione.
      Inoltre, proprio perché il ruolo della Corte costituzionale non è solo quello di applicare pedissequamente una Carta già completa e dettagliata, ma quello di contribuire a formare la Costituzione vivente, i percorsi argomentativi che conducono alle decisioni verrebbero ad essere indirettamente, attraverso l'istituto dell'opinione dissenziente, resi più «leggibili» sia per i cittadini sia per le istituzioni (in primo luogo il Parlamento). Si avrebbe così un effetto deterrente che verrebbe esercitato sulla maggioranza della Corte dalla prospettiva
 

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di dover reggere l'urto di un'opinione di minoranza che mettesse in luce, in ipotesi, la fallacia giuridica e culturale del ragionamento posto a base della decisione.
      Si prevede, inoltre, che sia la stessa Corte costituzionale a disciplinare ulteriormente la materia (tempi per il deposito delle opinioni dissenzienti e loro pubblicità).
 

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